La pesca a strascico è una tecnica di pesca che consiste nel trainare sul fondo marino una rete a forma di sacco, chiamata strascico, che cattura i pesci e altri organismi viventi. Questa tecnica è molto diffusa nel Mediterraneo, dove viene praticata da circa 3mila pescherecci italiani, che producono il 65% del totale pescato nel nostro Paese.
Tuttavia, la pesca a strascico è anche molto controversa, perché ha un forte impatto sull’ambiente marino e sul clima. Infatti, la rete a strascico danneggia il fondale e gli habitat naturali di molte specie, riducendo la biodiversità e la produttività delle risorse ittiche. Inoltre, la rete a strascico rimette in circolo l’anidride carbonica (CO2) che era stata sequestrata dai sedimenti marini, contribuendo al riscaldamento globale.
Per questi motivi, la Commissione europea ha proposto di mettere al bando la pesca a strascico entro il 2030, come parte della sua strategia per una pesca sostenibile e in linea con l’agenda verde dell’Unione europea. La Commissione ha anche indicato 87 aree di pesca da chiudere immediatamente per proteggere gli ecosistemi marini più vulnerabili.
La proposta della Commissione ha scatenato le proteste dei pescatori italiani, che temono di perdere il loro lavoro e la loro tradizione. I pescatori sostengono che la pesca a strascico è una pratica secolare e regolamentata, che garantisce il sostentamento di migliaia di famiglie e la qualità del prodotto ittico italiano. I pescatori chiedono quindi al governo italiano di opporsi allo stop alle reti a strascico e di difendere il settore della pesca nazionale.
Anche il governo italiano si è detto contrario alla proposta della Commissione, sostenendo che essa è basata su dati scientifici non aggiornati e non tiene conto delle specificità del Mediterraneo. Il governo ha chiesto una moratoria per valutare meglio gli impatti economici e sociali dello stop alle reti a strascico e per trovare soluzioni alternative che concilino le esigenze dei pescatori e quelle dell’ambiente.
La questione della pesca a strascico è quindi molto delicata e richiede un dialogo costruttivo tra le parti coinvolte. L’obiettivo comune dovrebbe essere quello di garantire una pesca sostenibile e responsabile, che rispetti gli equilibri ecologici del mare e assicuri il futuro delle comunità costiere.
L’impatto ambientale della pesca a strascico
La pesca a strascico ha un impatto ambientale molto negativo, sia sul fondale marino che sul clima. Infatti, la rete a strascico altera la struttura e la composizione del substrato, distruggendo o rimuovendo gli organismi bentonici che lo popolano. Questi organismi svolgono funzioni ecologiche importanti, come il riciclo dei nutrienti, la stabilizzazione dei sedimenti, la produzione di ossigeno e la regolazione del ciclo del carbonio.
La rete a strascico, inoltre, rimette in circolo la CO2 che era stata sequestrata dai sedimenti marini, contribuendo al riscaldamento globale. Uno studio pubblicato sulla rivista Nature ha stimato che la pesca a strascico causa tra 0,6 e 1,5 gigatonnellate di emissioni di carbonio all’anno, una quantità paragonabile o superiore a quella prodotta dall’industria globale dell’aviazione.
La pesca a strascico ha anche effetti negativi sulla biodiversità e sulla produttività delle risorse ittiche. Infatti, la rete a strascico cattura molte specie non bersaglio, che vengono scartate o uccise accidentalmente. Questo fenomeno, noto come bycatch, riduce la disponibilità di cibo per i predatori naturali e altera gli equilibri trofici degli ecosistemi marini.
Le alternative alla pesca a strascico
Per ridurre l’impatto ambientale della pesca a strascico, sono possibili diverse alternative. Una di queste è il miglioramento tecnologico delle attrezzature da pesca, per renderle più selettive e meno invasive. Ad esempio, si possono usare reti con maglie più grandi o con dispositivi di fuga per le specie non bersaglio. Si possono anche usare reti con un peso inferiore o con rulli che limitano il contatto con il fondale.
Un’altra alternativa è la gestione sostenibile delle aree di pesca, per limitare lo sforzo di pesca e proteggere gli habitat più vulnerabili. Ad esempio, si possono stabilire quote di cattura, periodi di chiusura stagionale o aree marine protette dove la pesca a strascico è vietata o regolamentata.
Infine, un’altra alternativa è la diversificazione delle tecniche di pesca, per favorire l’uso di metodi meno impattanti e più rispettosi dell’ambiente. Ad esempio, si possono usare reti da posta fisse o derivanti, palamiti o nasse, che hanno un minor impatto sul fondale e una maggiore selettività.
Queste alternative richiedono una collaborazione tra le autorità competenti, i pescatori e gli scienziati, per trovare soluzioni efficaci ed equilibrate che concilino le esigenze economiche e sociali del settore della pesca con quelle ambientali e climatiche del pianeta.
Su questo argomento mi piacerebbe sentire l’opinione di qualche addetto del settore. C’è qualche pescatore professionista, o comunque qualcuno esperto che può commentare e dire la sua sull’argomento pesca a strascico?